CONTRATTO IBRIDO PER I CONSULENTI FINANZIARI.

Un altro scacco da parte delle banche?

Cari consulenti finanziari, il contratto ibrido è una realtà.

Un esperimento sociale in un contesto storico già non felice. Al tempo della MiFid II e della FinTech, le reti di consulenza e le banche stanno trovando una semplice soluzione alla riduzione dei loro margini che le novità normative-tecnologiche hanno imposto.
Quale sarà dunque l’alternativa scelta da questi istituti? Naturalmente quella di scaricare sulla figura del consulente finanziario tale riduzione di redditività attraverso un escamotage: il contratto ibrido.

Ma come funziona? E soprattutto, perché?

Fondamentalmente si tratta di due tipologie di contratto per lo stesso professionista. Uno da dipendente di tipo part time e uno da collaboratore autonomo con partita iva. Tipologia contrattuale introdotta da Intesa Sanpaolo lo scorso anno.
Ciò permetterà a consulenti e promotori di avere le garanzie di dipendente in fatto di previdenza, stipendio e welfare. Mentre per le banche sarà possibile ridurre i costi fissi con una graduale sostituzione del lavoro dipendente con quello autonomo.

Quante attenzioni da “mamma banca”, eh?
I benefici in termini di redditività sono soprattutto quelli relativi al meccanismo delle provvigioni, che consentiranno agli intermediari di tenere per sé la fetta più grande della torta, a discapito (ancora una volta) del consulente e del cliente.

Garanzie da dipendente per i consulenti, più grande fetta della torta per gli intermediari.

È inevitabile, dunque, che con la MiFid II, nei prossimi anni, il portafoglio medio del consulente dovrà crescere per far fronte al calo della redditività generato dalla direttiva europea.
Se calcoliamo che un consulente oggi ha un portafoglio medio di 23.4 milioni con 183 clienti, per mantenere la stessa redditività, la soglia minima del portafoglio dovrà crescere fino a 30 milioni.
Ciò si traduce nel 30% di incremento della produttività… impegnativo a dirsi e a farsi! Specie per i professionisti senior abituati a lavorare su una base di clienti consolidata. Impossibile, o quasi, per un consulente neolaureato che si confronta con il primo obiettivo professionale, ossia 30 milioni di portafoglio in 5 anni.

In un’indagine condotta da McKinsey, l’effetto finale sarà l’abbandono della professione da parte di circa il 5 – 10% dei consulenti finanziari e saranno a rischio taglio anche i consulenti bancari.

L’unica consolazione, in questa prospettiva non troppo rosea, è che il cambiamento avvenuto dall’1 dicembre rimette in gioco la possibilità di scelta. Torna per i professionisti la possibilità di poter trovare un’alternativa valida.

Non più un sistema manovrato da banche e reti di consulenza, ma entra in scena un nuovo attore:

il consulente autonomo.

Il lavoro sarà duro e le attività in cui il consulente si imbatterà saranno tante.

Fairvalyou ha scelto di affiancare i consulenti per guidarli ottimizzando il loro tempo; ha progettato e realizzato strumenti adeguati centrando il focus verso la relazione consulente-cliente. In questo modo, otterremo insieme due importanti risultati:

  • permettere al consulente di essere pagato a parcella, e non a provvigione su prodotti venduti, direttamente dal cliente senza conflitti di interesse;
  • fare al meglio il proprio lavoro, mettendo al centro il cliente e i suoi obiettivi.
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