VEICOLO O CONSULENTE?
il punto di Fernando.
Un nuovo appuntamento con la rubrica che vede i commenti degli esperti su notizie di spicco del mondo finanziario.
Dopo il punto di Antonio di qualche settimana fa sul ritardo nella rendicontazione 2018, torniamo con un commento da parte di un’altra figura professionale.
Parla oggi, Fernando Tommasino, amministratore delegato di Fairvalyou, appassionato di tecnologia applicata alla finanza sostenitore della necessità di modificare il modello di business del sistema finanziario. Dopo tanti anni di esperienza nelle reti bancarie, si svincola e inizia lo sviluppo di un Platform Model per la consulenza finanziaria.

Il punto di Fernando coinvolge due articoli dei giorni scorsi, pubblicati entrambi in riviste autorevoli nel settore finanziario:
- Foti ai consulenti Fineco: non temete, nel 2019 guadagnerete di più di Bluerating.com;
- Reti, la produttività dei cf crolla del 23,7% di Advisoronline.it.
Il primo articolo della rivista specializzata analizza gli obiettivi dell’Amministratore Delegato di una delle più importanti reti in Italia, Fineco. Dunque, ciò che ritiene Foti, è che nei prossimi anni la produttività dei consulenti finanziari della propria rete possa crescere grazie a 3 drive di sviluppo: formazione, tecnologia e maggiore raccolta.
Questa tipologia di soluzioni sono, a mio parere, le solite ricette proposte da quasi tutti gli intermediari. Ogni volta che nel nostro settore ci troviamo ad affrontare rilevanti momenti di cambiamento, le reti e le banche hanno sempre il medesimo approccio, ossia quello di scaricare il costo e l’onere di tutto sul consulente finanziario.
Semplicemente perchè, parlare di formazione, tecnologie, di raccolte e aumento della produttività significa ammettere che il consulente finanziario dovrà continuare ad utilizzare lo stesso modello di business degli ultimi 25 anni nonostante l’avvento del Fintech.
Per ottenere cosa?
Un aumento di produttività necessario a compensare la riduzione dei margini e dei ricavi determinata dalla MiFid II e dal Fintech.
Il mio punto di vista in proposito è ferreo.
Ok più formazione ma non di regime! Solo quella che serve realmente al consulente.
Ok più tecnologia, ma non per la vendita di prodotti, piuttosto, per aumentare il valore percepito del consulente.
Ok più raccolta, ma non di masse che fanno numero per i bilanci degli intermediari, ma solo quella necessaria per la soddisfazione dei bisogni dei clienti.

Il secondo articolo citato fotografa lo stato attuale in termini di produttività, con un trend attuale certamente negativo, dove i consulenti finanziari hanno generato ricavi molto più bassi. E quindi, ci troviamo di fronte ad un forte gap tra la visione proposta dalle reti rispetto a quella che è la percezione e lo stato reale delle cose.
Si pretende un aumento di produttività in un momento in cui diventa difficile incrementare la produzione. Il mio punto di oggi non è quello di andare a fare previsioni sul trend, sebbene sia effettivamente necessario, ma capire piuttosto se questo tipo di soluzioni sottoposte siano coerenti con un mondo che cambia e, in particolare, con un settore in fortissima trasformazione.
La logica di utilizzare il consulente come veicolo è una logica che non sta più in piedi.
Parlo in questi termini perchè contrattualmente il consulente finanziario è il “veicolo” per la propria azienda, ma è un ruolo destinato a scomparire. Questo perché come sappiamo, è in atto una vera rivoluzione tecnologica, dall’intelligenza artificiale, al machine learning e data mining, una re-evolution digitale che investirà anche il settore della consulenza.
Se il professionista, ancorato ai vecchi modelli di business dovrà confrontarsi con questo tipo di contesto, è perdente in partenza.
Per cui, non è più possibile considerare il consulente come veicolo quando invece il suo è un ruolo importantissimo, complesso, difficile da dover svolgere. A mio parere, continuare a proprorre le solite soluzioni per i prossimi anni è una follia.
Fino a quando i consulenti finanziari potranno continuare a rappresentare un veicolo per le proprie aziende? Probabilmente ancora per poco tempo perchè al momento questo tipo di figura professionale per i modelli di business degli intermediari rappresenta solo un costo da ridurre (o terminare) in assenza di un significativo aumento di produttività.
Personalmente non sono d’accordo con questo tipo di proposizioni, che sono estremamente ingannevoli per una categoria importante come la nostra. Non siamo dei veicoli per realizzare dei budget o dei bonus o per vendere prodotti poco chiari e molto complessi, ma svolgiamo, invece, un ruolo fondamentale come financial planner, come guide all’interno del ciclo di vita finanziario e patrimoniale dei nostri clienti.
Concludendo, vedo quasi tutti gli intermediari omologati su un modello di consulenza basato sul numero delle transazioni con le solite ricette: aumento produttività con la tecnologia che libera tempo al consulente (back-office) da dedicare alla relazione con il cliente (vendita prodotti).
Un modello di consulenza vecchio che serve solo agli intermediari. Nulla, invece, sul consulente del futuro, sul ruolo strategico del
consulente e sulla possibilità di inserire giovani in questa professione. Oggi un consulente ha in media un portafoglio di 24 milioni con circa 190 clienti, per mantenere la stessa redditività la soglia minima del portafoglio dovrà crescere fino a 30 milioni.
Quindi, AUM e nuovi clienti che devono generare un incremento di produttività del 30%!!
Un compito impegnativo per una figura professionale mediamente matura (53 anni), abituata a lavorare su un perimetro di clienti consolidato. Quasi impossibile per un neolaureato che si approccia alla professione pensare di arrivare a 30 milioni di portafoglio in 5 anni. Fortunatamente, la scalabilità del private banking è ormai un dato di fatto anche in Italia.
Aggiungo: con la PSD2 e MiFid II anche le banche e le reti saranno scalabili. Amazon, Facebook e altre Big Tech già si stanno muovendo in tale direzione. Nei prossimi anni, la valorizzazione del consulente passerà attraverso la non omologazione del singolo professionista ad un modello di remunerazione basato sulle commissioni di vendita ed ampiezza del portafoglio.
A mio giudizio, possibile solo con la completa autonomia del consulente che agisce nel miglior interesse del cliente senza vincoli di mandato o di indirizzo aziendale; in grado di utilizzare la tecnologia come moltiplicatore di efficienza, pagato direttamente dal cliente per quello che fa, e non per quello che vende.
Se il professionista resta un procacciatore d’affari o un dipendente, vedo un futuro difficile per un consulente omologato dai modelli di business degli intermediari finanziari.
Resterà sempre un veicolo e mai un consulente libero.
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